lunedì 23 novembre 2015

Su trinta e su mese e Sant’Andria


Su trinta e su mese e Sant’Andria
Una poesia, una canzone, una tradizione, una festa.
Il piacere di assaggiare i mosti che, dopo il primo freddo di novembre (su mese ‘e Sant’Andria) iniziano a evolversi in vino; un piacere da sempre condiviso con parenti e amici, ma anche con gli eventuali forestieri e visitatori del centro cittadino.
Una tradizione mai sopita, prima tradotta in poesia da Barore Chessa, poi diventata canzone, conservata per decenni da poche famiglie, riscoperta quasi per gioco una decina d’anni fa e ora diventata enorme fenomeno di aggregazione.
Una festa ha costruito le sue basi sull’ospitalità e il piacere di condividere i frutti della nostra terra: il vino e gli antichi piatti legati alla tradizione e alla vita agropastorale.
In origine erano vini semplici ma sinceri e genuini, piatti “poveri” ma tipici e gustosi. Poi col tempo sono stati rivalutati e riscoperti come un tesoro e un’eredità culturale. E sono stati riscoperti, rivisitati e ripresentati con orgoglio e fantasia.
Insieme al tipico rosato, all’occhio di pernice, al redagliadu, tipici delle colline ozieresi, si possono gustare altri ottimi vini ottenuti da uve del territorio, sia tipici sardi, sia nazionali e internazionali, che hanno trovato buone caratteristiche pedoclimatiche nel Logudoro e Monteacuto: cagnulari, muristellu, monica, sangiovese, trebbiano, merlot, cabernet, sirah. Nelle numerose cantine, oltre trenta, saranno offerti vini che potranno essere apprezzati maggiormente da un degustatore esperto, capace di riconoscerne qualità e potenzialità nonostante l’immancabile sensazione di crudo e acerbo, tipica dei vini giovanissimi.
Qualcuno potrebbe chiedersi se non sia il caso di posticipare tale usanza, per poter gustare vini più maturi, ma parlando con i più anziani e facendo tesoro dei loro racconti intrisi di esperienza, ho scoperto le ragioni storiche di questa tradizione. Uno dei racconti più affascinanti, che ho avuto il piacere e la fortuna di vivere di fronte a una caraffa da mezzo litro di vino ozierese, descriveva le trattative e gli accordi commerciali dell’ottocento e del primo novecento, in modo particolare riguardanti la vendita di terreni e bestiame. In quell’epoca Ozieri era il cuore pulsante del mondo agropastorale, oltre a essere una delle cittadine più ricche dell’isola. Gli accordi si suggellavano con una stretta di mano e un bicchiere di vino. Il vino di queste occasioni era un vino leggero e amabile, diverso dai vini alcolici e strutturati che hanno da sempre caratterizzato altre aree della Sardegna, perché se in una giornata si dovevano concludere più trattative, negli storici zilleri di Badde e Cantareddu, non si poteva correre il rischio di perdere la lucidità. Questo racconto, un misto tra storia e leggenda, ci offre una delle possibili origini del vino tradizionale delle colline ozieresi: abboccato, amabile, leggero e fruttato, di facile bevuta, anche giovanissimo.
Oggi Sant’Andria è una delle poche feste della Sardegna che sta resistendo alla tendenza e alla tentazione di creare eventi a scopo puramente commerciale, grazie alla passione dei sempre più numerosi cantinieri, che ogni anno si lanciano la sfida a chi offre il vino migliore, la cantina più bella e i piatti migliori. E uno dei più grandi successi, oltre al numero di visitatori sempre maggiore, è che queste sfide non hanno mai un vincitore.
Vi aspettiamo numerosissimi anche quest'anno.
Saludos dal cantiniere Nicola Peano.

Nessun commento:

Posta un commento